Verdastra con qualche sfumatura rosa-rossastra, macchiata dalla ruggine, difforme, di calibro diverso, una volta esposta sul banco dell’ortofrutta di Conad, la Mela rosa dei Monti Sibillini, nota anche come mela rosa marchigiana, ( ma anche come Rosetta, Appietta, Pianella, Durella) sembra una presenza aliena tra le mele di ultima generazione, perfette morfologicamente e cromaticamente.
Eppure, là dove esiste il presupposto della cultura di consumo, alimentare in grado di comprenderlo, questo prodotto scarso della Comunità montana dei Sibillini e della Comunità montana del Tronto, spunta i prezzi che merita, in quanto specialità per pochi, per chi apprezza il suo profumo di rosa. D’altra parte, il melo appartiene allo stesso clade delle angiorsperme e alla famiglia delle rosacee!
Raccolta da piante che non subiscono trattamenti, in quanto irrobustite da una ambientazione che risale a tempi immemorabili, la mela marchigiana è ovviamente più resistente alla ticchiolatura e ad altre fito-patologie. Veniva consumata dai Piceni e poi dai Romani che tolleravano la sua bruttezza in cambio delle qualità gustative e nella letteratura di varie epoche se ne trovano menzioni e citazioni.
La sua polpa, avvolta dalla buccia robusta, liscia e protettiva è bianca e a tratti translucida, soda, è un po’ avara di un succo che però si rivela ricco di sapori veraci e complessi, che si fondono ad una bassa acidità.
Il contenuto di acido malico e la ricchezza di altre molecole aromatiche consentono alla mela marchigiana di offrire un succo molto più gradevole di altre varietà destinate al consumo tale e quale. A ciò va aggiunto che, come altre mele antiche, il suo utilizzo si esalta con la cottura e la preparazione di composte e salse varie.