Da Chicago alla Coop di Opera la novità di un kefir alla fragola.

Avatar photo Daniele Tirelli23 Giugno 2024

Trovare un kefir alla fragola nella Coop di Opera (MI) mi ha quasi commosso. L’ “America” ci ha finalmente raggiunto anche con questa bevanda dalle lunghe tradizioni (altrui). Circa 10 anni fa scattai questa foto nel Whole Foods di Lincoln Park di Chicago; una foto che poi utilizzai nella lezione speciale sulla “Food Evolvation” nel mio corso in IULM, allo scopo di illustrare il significato di “product differentiation and customization”.

Naturalmente, la maggioranza di amici manager inclinava verso lo scetticismo, con tutto lo yogurt cremoso, denso da bere, ecc. non ci sarebbe stato spazio anche per un supernicchia come il kefir. Oggi troviamo questo prodotto in veste di Private Label e non è difficile capire che

sarà proprio un leader della distribuzione come Coop, assieme agli altri suoi concorrenti a sviluppare la differenziazione.  

La marca privata ha il vantaggio di non richiedere investimenti d’avvio. Ci sono tanti co-packers pronti ad adattare le loro tecnologie per servire i retailer che non hanno certo il problema di collocare inizialmente il prodotto, per soddisfare una necessità o esplorare un’opportunità.

Abbiamo detto kefir? Bene, allora forse è utile sapere come un’azienda americana specializzata come Lifeway Foods articola la sua proposta al trade americano. Avviata la produzione già nel 1986 l’azienda con sede a Morton Grove, (IL) utilizza solo latte proveniente da mucche nutrite con erba e che non sono state trattate con ormoni artificiali. Lifeway Foods è guidata da Julie Smolyansky che divenne la più giovane donna CEO  quando la rilevò all’età di 27 anni nel 2002. Da allora, Julie ha continuato il percorso di crescita dell’azienda con lo sviluppo e il marketing creativo del prodotto, portando un prodotto molto particolare nel mercato mainstream statunitense. Sotto la guida di Julie, l’azienda ha aumentato i ricavi annuali da 12 milioni di dollari nel 2002 a oltre 119 milioni di dollari nel 2021. Durante il suo mandato, l’azienda ha ampliato la distribuzione negli Stati Uniti, Messico, Francia e Irlanda, nonché in parti del centro e del sud. America e Caraibi. Oggi Lifeway offre 33 varianti di kefir, da quelle più vicine alla tradizione a quelle no-fat a quelle dai più diversi sapori di frutta.

Ma tornando a questo prodotto che in Italia non dovrebbe trovar spazio e per capire quanto il kefir sia lontano dalle nostre radici etniche e come sia giunto a noi attraverso l’assorbimento osmotico che alimenta la “pentola ribollente” degli Stati Uniti, sempre capiente di ogni novità sia essa un oggetto “nuovo” o semplicemente sconosciuto, rileggiamo alcuni passi di un testo di Piero Camporesi dal titolo “Le vie del latte dalla Padania alla steppa”, un piccolo libro che, fossi un retailer regalerei ai miei buyer di categoria. (E poi, magari, li farei interrogare da Daniele Tirelli, … anche gratis!).

“Il regime alimentare di Sciti, Tartari, Turchi, Mongoli, fondato quasi esclusivamente  su latte e carni lessate nel latte o arrostite, variato con riso bollito nel latte ed essiccato poi al sole, – scriveva il Camporesi agiva da propellente dinamico, da acceleratore di energie latenti, da catalizzatore d’inquieta mobilità e di avventurosa, aggressiva errance.

Pareva esistere una segreta relazione fra le rapide aggregazioni e le altrettanto veloci separazioni di genti e tribù, tra l’improvviso coagularsi di popoli in imperi (e il loro quasi repentino distarsi) e la dieta delle steppe. Come se passasse un filo misterioso e invisibile fra la fermentazione delle secrezioni equine, il coagularsi dello yogurt, l’addensarsi e il montare della panna acida (la smetana dei Russi), lo spumare del kumyss e del kefir, tra la condensazione del latte essiccato al sole, lo sminuzzamento e lo scioglimento della farina lattea e la frantumazione polverosa dei loro inquieti e instabili domini. (…) Sporchi e selvaggi bevitori di un latte denso, maleodorante, non dolce, dal quale, «conciato» ossia fermentato (cosa incomprensibile e quasi sacrilega per i popoli della vite), ricavavano quel liquore chiamato «chemisi» da Marco Polo, il kumis o kumyss dalla vaga parvenza di «vino bianсо». (…)

Insieme al kavmak, crema bollita leggermente salata, ai formaggi conservati negli otri (tulum), a forma di ruote (tekerlek) o di palle (come il cascaval dei Valacchi), era ed è ancora lo yogurt unito, secondo le stagioni, a cocomeri, meloni, cipolle, porri, frutta secca o cotta, a essere la spina dorsale dell’alimentazione popolare turca.

Dalla Grecia alla Persia all’India attraverso l’Islam, il suo impero bianco-acidulo non conobbe frontiere, solo varianti linguistiche: mazun (mazoni in Georgia), tarbo, urda, skir, dahi. Variazione alcolica dello yogurt (fu merito di Metschnikoff l’aver messo in relazione le fermentazioni intestinali con i processi involutivi senili) è il kefir o képhir del Caucaso e in particolare della Georgia, liquido molto denso, quasi una crema, di un colore biancastro tendente leggermente al giallo, spumeggiante, di gusto gradevole preparato con latte di vacca e un fermento speciale (kefir, sotto forma di granelli disseccati ricavati dallo stomaco di montone), la cui radice, di origine turca, suona significativamente «benessere».

In conclusione, se in Italia si riesce a far consumare con piacere il kefir, allora il nostro amore per la (crescente) varietà, davvero non ha limiti.

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