Tutti i quotidiani hanno ripreso la notizia del video circolante su Internet e relativo alla richiesta di una turista, in un ristorante di Milano, di avere un cappuccino da sorbire assieme al suo piatto di pasta. La risposta del cameriere ha giustamente fatto sorridere tutti, ma non è questo il punto.
Pasta e cappuccino, perché no?
No! perché infrangerebbe un canone, cioè una regola acquisita nel tempo, da
una società italiana sempre più “assorta”, nel senso datone da José Ortega y Gasset.
La psicologia di massa che si rafforza nel nostro paese, va detto, è palesemente orientata verso l’antimodernità, cioè una modernità intesa come incessante mutamento che coinvolge e sconvolge irrispettosamente qualunque cosa ci circondi
Matura progressivamente un contesto in cui l’individuo non sceglie la sua maniera di pensare, in cui non sente neppure il bisogno di scegliere, poiché viene sommerso dalla fede, dal bisogno di essere in accordo con la “maggioranza” (a che serve votare se non vinco?!), dal conforto della tradizione, riferimenti che delimitano il suo sapere offrendogli, allo stesso tempo, una risposta a tutto ciò che spontaneamente può domandarsi.
La cosa da sottolineare è che questa sua fede, all’individuo immerso nella società assorta, non appare come una FEDE, bensì come una “razionalizzazione” della realtà che, nella sua ovvietà, non necessita di ulteriori dimostrazioni o di alcuna prova a supporto.
Perchè no a pasta e cappuccino? Perché sì! Perché è autoevidente.
Esiste, infatti, una scala di valori indiscutibili perché tramandati nel tempo. A questi valori l’italiano “assorto” si aggrappa per discernere ciò che è bene da ciò che è male. Soprattutto la società italiana e sempre più assorta, per sopravvivere e prevalere nonostante i traumi inevitabili del cambiamento, avvolge l’individuo in una rete fittissima di simboli, in una rete talmente fitta che il valore simbolico di ciò che lo circonda sovrasta il valore del reale, del fattuale.
Ecco, allora, emergere il valore sacrale della pasta o della pizza e i contraltari orrorifici quale la “carne sintetica”, che pure non esiste come prodotto accessibile alla brava madre di famiglia italica; il tutto senza la consapevolezza che l’alimentazione del domani è un processo incombente e mondiale, fuori portata da ogni eroica resistenza in difesa della tradizione.
Al giornalista e al gastronomo fai-da-te sfugge, pertanto, ciò che accade quotidianamente e inconsapevolmente ad opera di tanti compatrioti: mai visto in Autogrill o in nei centri commerciali pasteggiare con tè liquido o “acque potenziate”? Piadina e tè o Coca-Cola (in sostituzione del Sangiovese) … no problem? (secondo un altro vezzo linguistico acquisito e da proibire a salvaguardia dell’idioma peninsulare)?