Raro trovare ricettari di cucina popolare se non dopo il ‘900 (rispolverati nel ventennio fascista per ragioni di sopravvivenza e poi dimenticati negli anni del boom economico). C’è una cucina popolare che, a torto, ha finito per assumere anche l’aggettivo povera. Un equivoco da fugare.
Gli ingredienti sono proteici (carni, uova, pesci, formaggi), abbinati a molte varietà di verdure e legumi (coltivate nell’orto di casa finché la terza e la quarta rivoluzione industriale non hanno portato tutti in città), insaporiti con spezie (riservando le più rare e costose a piatti speciali), il tutto reso con diversi metodi di cottura per avere un prodotto finale soddisfacente, gustoso e talvolta sfizioso per assecondare le esigenze quotidiane, dunque non solo calorie, ma piacere della tavola.
Molta di questa cucina casalinga (che tale e quale si trovava in osterie e trattorie) è scomparsa con l’avanzare del precotto, congelato, liofilizzato e via elencando i progressi che consentono di evitare di cucinare (basta solo riscaldare), oppure riducono al minimo i tempi di preparazione.
Mario Soldati che, alla metà degli anni ’50, è stato l’antesignano assoluto della scoperta della gastronomia popolare (va ricordato e rivisto il reportage per la RAI “Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini” e va riletto “Vino al vino”) sposta l’interesse verso il prodotto locale, tutt’altro che povero anche se presentato su tavole con chiassose tovaglie a scacchi e in piatti sbrecciati. Un prodotto locale che è ancora parte della cucina popolare e solo negli anni 2000 diventa costosa leccornia generata dal sistema di qualità dell’Unione Europea (i prodotti DOP, i vini DOCG ecc.), dai presidi Slowfood, dai negozi Eataly.
L’aggettivo povero, ma nemmeno frugale vanno abbinati al cibo popolare, che nasce da una tradizione locale capace di usare con ingegnosità ingredienti tipici, dotati di qualità nutrizionali e organolettiche ben caratterizzati.
Così, alla cucina popolare e ai suoi ghiotti ingredienti si rifanno le ricette del Pastificio Ossolano (www.pastificioossolano.it). Il ricorso a quel che offre il territorio montagnoso è solo una parte della storia (patate, farina di castagne, grano saraceno e segale, formaggi e salumi locali), poi ci vuole la conoscenza delle antiche ricette e la capacità di renderle attuali per la vendita nella gdo. È il caso delle ortiche, odiate per l’effetto urticante, una volta cotte rivelano grandi proprietà salutari, ricche di vitamine, flavonoidi, polisaccaridi e altro ancora svolgono azione diuretica e antinfiammatoria. Insomma, nemmeno loro sono povere.