Sull’inflazione si sono dette molte cose e in gran parte sbagliate. L’attenzione è stata del tutto concentrata sull’indice aggregato dei prezzi al consumo (di alimentari e bevande) per l’intera collettività. Tuttavia, anche se le statistiche ufficiali affermano che il “livello dei prezzi” può essere misurato e che la sua variazione calcolata è il cosiddetto tasso di inflazione, quando si parla di “livello dei prezzi”, appunto, si ha in mente l’immagine qualcosa simile al livello di un liquido che sale o scende a seconda dell’aumento o della diminuzione della sua quantità. Ma un tale “livello” non esiste. I prezzi non cambiano nella stessa misura e allo stesso tempo. Certi prezzi cambiano più rapidamente di altri prezzi e altri diminuiscono.
Perché? Semplice: i prezzi sono dei segnali per i consumatori e per le imprese. Segnali che hanno senso solo nella forma di prezzi relativi. Ciò perché, in quanto tali, servono ad ogni soggetto economico per orientarsi circa le condizioni di mercato. I prezzi rispondono alla domanda su quali beni e servizi e in quali quantità conviene acquistarli, a fronte delle quantità alternative di altri prodotti a parità di condizioni.
L’esempio illustrato dice che un Nescafé Espresso pronto da bere mi è costato (in una stazione di servizio) 3,99 €, una somma che mi avrebbe consentito di acquistare alla Coop mezzo chilo di petto di pollo o 3 chilogrammi di pasta Coop.
Everli promette di consegnare a casa la stessa confezione di Nescafé Espresso per 1,80 €. Una bella differenza!
Cosa dovremmo concludere? Che le stazioni di servizio creano inflazione? Che guadagnano extra-profitti? Cosa dovremmo includere, allora, nell’indice statistico? Il prezzo sull’autostrada e/o quello di Everli? Dovremmo concludere che i consumatori sono irrazionali perché lo scambio tra pochi sorsi di caffè e 3 kg di pasta sembra insensato?
Nessuna di queste ed altre considerazioni.
Ogni persona, ogni famiglia ha in mente una struttura dei prezzi diversa da ogni altra. Ciascuno deve considerare i prezzi per misurare continuamente le proprie(!) variazioni del potere d’acquisto del proprio reddito in base alle scelte fatte o anche soltanto possibili, in uno specifico momento o in un luogo particolare.
Dovendo guidare di notte, i miei 3,99 € avevano un valore equivalente all’auspicato effetto nervino del caffè e valore zero per il pollo o la pasta.
Ma qualora la stazione di servizio portasse il prezzo di Nescafé a 5,99 € e io ne fossi informato, cosa accadrebbe? Probabilmente deciderei di comprarlo al supermercato prima di partire e mi fermerei in autostrada solo per la toilette.
In altre parole, per capire cos’è e cosa provoca realmente l’inflazione non basta osservare il “livello generale o medio dei prezzi”, ma le reazioni asimmetriche indotte dai tanti prezzi relativi che, nella situazione attuale, variano molto più ampiamente degli anni scorsi. Ciò, sapendo che gli effetti sulle quantità sono molto diversi e avvantaggiano qualcuno e penalizzano altri.
Pensare di governare il mondo caotico sottostante tentando di porre sotto controllo l’indice del “livello” dei prezzi resta come sempre un’ingenua illusione.