Se dico Brasile non pensate alle solite ovvietà: samba, spiagge infinite e churrasco. C’è il Brasile del vino che va attentamente studiato poiché lo importa, ma lo produce pure e lo esporta.
Immenso Brasile
Il Brasile ha il privilegio di una enorme estensione geografica che gli consente di confinare con praticamente quasi tutti gli Stati del Sud America e di beneficiare di una grande varietà climatica: dall’ambiente equatoriale a nord a una zona centrale tropicale, al clima temperato del sud dove la neve non è ignota, ad altre micro zone climatiche montagnose, o collinari che rendono possibile la coltivazione di una grande varietà di derrate.
Data l’estensione delle zone coltivate e l’intensità produttiva il Brasile è leader mondiale in alcune coltivazioni e, sebbene la vite e relativa produzione di vino sia ancora da considerarsi marginale rispetto ad altre in cui il Brasile eccelle, ha già però raggiunto l’undicesima posizione come produttore mondiale d’uva. Se a questo si aggiungono 200 milioni di abitanti si può cominciare a fare qualche considerazione fra vino importato e vino prodotto non esclusivamente per il mercato interno.
Le importazioni di vino
Iniziamo con le importazioni (dati forniti da ICE sede di San Paolo e Ministero Brasiliano dell’Economia): tra gennaio e ottobre 2021 il Brasile ha importato 133.296.533 litri di vino e spumanti, cifra in aumento dell’11,7% rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 19,2% rispetto allo stesso periodo del 2019.
In posizione di preminenza vi sono i “vicini di casa” Cile con una quota del 44,4% e Argentina con il 17,2%, poi significative sono anche le importazioni di vino dal Portogallo (16,2%) e, gradita sorpresa dall’Italia con un 7,2% (non dimentichiamo che in Brasile vivono circa un milione e trecentomila italiani, molti dei quali presenti da diverse generazioni).
Le esportazioni dei vignaioli italiani stanno conoscendo un successo in crescendo.
Nel periodo 2020/2021 c’è stato qualche avvicendamento con un lieve calo delle importazioni dal Cile e una crescita dall’Argentina e anche le esportazioni dei vignaioli italiani stanno conoscendo un successo in crescendo. I dati disponibili non entrano nel dettaglio delle varietà di vino (cosa che sarebbe utile conoscere), ma in compenso indicano un dato su cui fare una riflessione: in valore i vini italiani hanno un prezzo più basso di quelli francesi (in particolare nel segmento spumanti). Un posizionamento che lascia perplessi considerando che c’è sicuramente una fascia di consumatori disposta ad acquistare a prezzi più elevati in particolare nel canale horeca. Il Better Life Index dell’OCSE indica che il 61% della popolazione brasiliana in età fra i 15 e i 64 anni ha un lavoro retribuito e, sebbene il reddito medio disponibile pro capite è di molto inferiore a quello europeo, bisogna evitare confronti impropri. Ossia le disuguaglianze sociali non possono essere ripianate da una “media”. Il tenore di vita nelle grandi città e nelle rinomate località turistiche è quello che incide maggiormente sui consumi crescenti di vino, in particolare di spumanti e champagne (per le occasioni celebrative), di rossi fermi cui si aggiungono le nuove tendenze come i rosé.
Dunque si potrebbe pensare alle esportazioni di vino dall’Italia in termini più incisivi, per quanto riguarda i prezzi, rispetto agli eterni competitor francesi. Con la fine delle restrizioni dovute alla pandemia, la vita sociale in Brasile sta già riprendo con il consumo nel canale horeca e domestico, mentre il Carnevale di Rio e di San Paolo sono rimandati al 21 aprile e si attende una stagione turistica in linea con la crescita esponenziale degli ultimi anni (6 milioni di turisti).
Il vino brasiliano
I vigneti brasiliani sono concentrati soprattutto nello stato di Rio Grande do Sul, nella parte estrema del Brasile, al confine fra Argentina e Uruguay, e datano dai primi del ‘600, ma è grazie a italiani emigrati dal Veneto che nella seconda metà dell’’800 si inizia la selezione e piantagione dei vitigni adatti al clima. È poi solo dagli anni ’70 che la produzione ha assunto le caratteristiche adatte a una estesa commercializzazione, sia interna sia rivolta a diversi Stati: USA, Europa del Nord (in particolare Germania e Regno Unito) e la new entry è la Cina.
La produzione non è esclusivamente vinicola, ma ben il 56,2% è destinato alla commercializzazione di succo d’uva e quasi un 10% è per la produzione di spumanti. Tra i principali vitigni impiantati vi sono cabernet sauvignon, merlot, cabernet franc, chardonnay e altri che indicano la matrice veneta di chi ha coltivato queste terre trasformandole in vigneti.
Nell’area di Serra Gaúcha, in particolare nella Vale dos Vinhedos, si concentra la maggior parte delle case vinicole fra cui Vínicola Salton, Casa Valduga, Dal Pizzol, Vinícola Aurora, Casa Pedrucci, Courmayeur do Brasil e decine d’altre i cui prodotti sono una piacevole sorpresa gustativa che la gdo italiana potrebbe cominciare a valutare.