L’estate 2022 risuonò di pianti, strida e infiniti lai, ma al tempo delle castagne le statistiche nazionali arrisero al popolo in attesa, annunciando un Pil, espresso in valori concatenati, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, (in sintesi reale e al netto dell’inflazione) maggiore del 2,6%, rispetto all’estate precedente.
Qualora nel IV trimestre cresca di un altro 0,5%, il 2022 chiuderà con un +4,2% complessivo.
Difficile, pertanto, per il nuovo governo ripetere questa performance nel 2023, il dato attuale dipende da molti fattori e condizioni, ma l’audience dei vari media, sempre più informata, ma sempre meno istruita, non va e non andrà per il sottile.
Venendo alla spiegazione della variazione congiunturale, ISTAT dice che è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, mentre
i servizi hanno registrato un aumento.
Tradotto: si sono prodotti meno beni e si sono forniti più servizi, ovvero trasporti, viaggi, hotel, bar, ristoranti, spa, riparazioni, assistenza, sport, intrattenimento,… e questo sul lato della produzione
Sul lato della collocazione della produzione cioè “la domanda”, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta. Tradotto: abbiamo esportato di meno, e abbiamo consumato e (forse) investito di più. Come? Lo sapremo con i dati definitivi.
L’indizio è simile a quello registrato negli USA. Il fiume di denaro fresco (cioè creato dal nulla) affluito (in diversa misura) nella disponibilità delle famiglie italiane, combinato con i tassi reali negativi che scoraggiano il risparmio, e in aggiunta la fine (presunta) del COVID, ha indotto le famiglie Italiane a spendere soprattutto in servizi.
Paradossalmente, il settore dei beni di consumo e del grocery, che ci interessa di più, ha vissuto un anno difficile sotto una pesante cappa psicologica pessimistica. Da qui i vari fenomeni più volte menzionati: afflusso verso i discount, shrinkinflation, ecc.
La dissociazione osservata tra i due punti di vista si spiega sostanzialmente con il fatto che queste attività di consumo quotidiane, sono in qualche modo “pubbliche” e facili da documentare per i media.
Le altre attività relative ai servizi sono più “intime” sfuggenti, poco adatte per il linguaggio semplificato inerente l’economia.
Insomma, le parole sono pietre,… pomici che l’ininterrotto chiacchiericcio porta via con sé.