Il mondo della cucina tradizionale e delle sue origini incorrotte è piuttosto nebuloso. Mano a mano che ci avviciniamo agli archetipi dei prodotti alimentari delle varie regioni, notiamo che il “consumatore medio” prova, nei confronti di queste scoperte, lo stesso disagio che provoca la sperimentazione delle audaci combinazioni di gusti della “cucina di fusione”. La loro capacità di suscitare una piena gratificazione gustativa deve, in altre parole, essere sostenuta da una poetica che li renda, in primo luogo, addirittura “buonissimi da pensare” e romanticamente salubri, in quanto rispettosi della natura da cui provengono. Gran parte del patrimonio delle cucine a carattere regionale: siciliane, toscane, napoletane…, non essendo sostenute da adeguate campagne di comunicazione, si stempera nel gran rivolgimento in atto. Per qualche arcana ragione, per esempio, l’arcinota pasta con le sarde o i patè di fegatini toscani così come il lampredotto o il lattume di tonno non sono riusciti a entrare pienamente nel repertorio dell’alimentazione domestica quotidiana e rimanervi stabilmente. Ciò significa che se tutti pensano bene delle ricette del passato, non è assolutamente detto che poi le gradiscano se non in speciali occasioni. Basta pensare, dunque, a quel che è accaduto ai bolliti o a certe minestre ma anche a certi tipi di frutta e ortaggi che solo oggi vengono riscoperti. Ne consegue che, curiosamente, oggi, le sorti di questi prodotti del territorio sono anche esse affidate alle decisioni della distribuzione moderna e soprattutto a essa. Questa procede, sempre più frequentemente e sempre meglio, a “democratizzare” l’offerta di queste specialità, prima riservate ai negozi del centro e ai marchi di alta gamma. Tutto ciò a dispetto della falsa idea dei movimenti “neo-romantici” che la demonizzano quale fosse il grande omologatore dei gusti nazionali.
Luoghi comuni sulla cucina tradizionale
Daniele Tirelli13 Dicembre 2021