Il mercato del vino in Italia è quanto mai frastagliato, non solo per la presenza di circa 40.000 cantine e una miriade di piccoli e piccolissimi coltivatori, ma è elevato anche il numero di aziende vinicole (ben 310.000) nonché dei consorzi di tutela giacché l’Italia vanta nel vino 526 eccellenze (doc e docg, cui si aggiungono gli igp). In Europa, l’Italia compete con i vini rinomati della Francia (che conta 438 denominazioni), ma anche della Spagna e della Grecia anch’esse con molti vini storici e di eccellente livello. Tuttavia guardare solo all’Europa è molto riduttivo, il vino è un business a livello mondiale con Paesi produttori che sono anche importatori (per soddisfare una domanda interna molto variegata) e Paesi che sono solo importatori. Se Francia e Italia si contendono il primato dell’export della propria produzione, ci sono altri Paesi molto forti nel saper far conoscere e apprezzare le proprie varietà di vino nonché a spingere all’acquisto. La classifica Oiv del 2021, circa la produzione in milioni di ettolitri, vedeva in testa l’Italia (44,5) seguita da Spagna, Francia (34,2), Usa (24,1), Australia (14,2), Cile (13,4), Argentina, Sud Africa (10,6), Germania, Portogallo, Russia (4,5), Romania, Ungheria, ma nel novero dei produttori ci sono anche Cina, Nuova Zelanda, Grecia e Turchia, persino nel Regno Unito si sta tentando la produzione di sparkling wine.
Quanto al consumo in Italia si assiste da anni a un costante declino (-70% negli ultimi 50 anni) dovuto a cambiamenti di abitudini (per esempio, molto ridotto il consumo nella pausa pranzo di mezzogiorno a casa e nell’horeca, numerose mense aziendali non mettono più a disposizione né vino né birra, l’etilometro invita a bere con moderazione anche a cena), così il vino è passato da abitudine quotidiana a consumo episodico. Il lavoro da remoto, confinati a casa in due anni di pandemia, ha alterato queste abitudini creando una bolla di vendite che però si sta già ridimensionando.
Per gli italiani, il principale canale di approvvigionamento resta la gdo (nelle varie tipologie di formati), mentre registra un forte incremento l’ecommerce. L’enoteca continua ad essere un punto di vendita privilegiato per la scelta di vini di prezzo elevato. Da notare l’inserimento della ristorazione nel canale di vendita dei vini, con le gourmet box che consentono di rifare a casa i piatti assaggiati, offrendo tutti gli ingredienti, incluse le bottiglie di vino adatte alle ricette. Da non trascurare nella vendita di vino gli agriturismi nelle zone vocate alla viticoltura, sebbene ancora marginali, stanno segnando una decisa crescita.
In Europa, l’Ocm (Organizzazione del mercato comune) nel 2008 ha affrontato per il vino un riordino complessivo delle denominazioni, classificazioni e etichettature, creando anche una sorta di graduatoria di valore fra le varie denominazioni (al vertice ci sono i vini che possono esibire il bollino docg). Ai consorzi spetta poi la definizione di disciplinari e regolamenti, la sorveglianza della conformità della produzione, nonché aspetti gestionali, di promozione e amministrativi. Di tutto questo cosa sanno i consumatori? L’Osservatorio Unione Italiana Vini in collaborazione con Vinitaly ha lanciato, lo scorso anno, un’indagine circa i vini più conosciuti dagli italiani. Brunello, Chianti, Prosecco, Barolo e pochi altri nomi affiorano alla mente degli intervistati. Ancora più scarsa è la conoscenza dei nomi dei produttori, delle cantine, dei consorzi. Sebbene non ci sia regione italiana senza tradizioni vinicole, la conoscenza dei consumatori è alquanto scarsa e si limita ad aggiungere alla parola vino un aggettivo: bio, da agricoltura biodinamica, analcolico, halal, bianco, rosso, rosé, arancione (sì, è una nuova tendenza), fermo, frizzante, giovane, invecchiato, aromatizzato.
Dunque molto poco si sa in Italia, e all’estero? Dipende dai mercati. In Usa e in Cina molte aziende italiane investono direttamente in comunicazione. L’Ice organizza la partecipazione di aziende italiane a fiere internazionali, a roadshow e ultimamente supporta le aziende vinicole nazionali nel portale www.wine.com. Ci sono inoltre i finanziamenti a fondo perduto dell’Ue per sostenere la promozione dei vini dei paesi dell’Unione verso i paesi terzi. Un insieme di risorse cospicuo per la comunicazione che sta gradatamente mettendo in luce, all’estero, vini e produttori italiani, creando una migliore conoscenza e parallelamente viene incrementata una distribuzione qualificata del prodotto. In pratica, i mercati esteri sono persino più curati del mercato nazionale, dove la conoscenza delle varietà di vini, vitigni, vinificazioni, ossia quell’insieme di informazioni di base per poter fare scelte consapevoli latita. Scarsi e sporadici gli investimenti di pubblicità, ancor meno in promozioni creative, marginali quelli sugli strumenti digitali così come l’impiego di influencer e testimonial. Ancora molti produttori non hanno siti web, nemmeno i consorzi fanno un uso efficiente degli owned media. C’è in compenso un interesse, che si potrebbe definire elitario, per le guide: quella ormai storica lanciata da Luigi Veronelli, quelle de l’Espresso, Gambero Rosso, Bibenda e Slow Wine. Tutto sommato sembra che, in Italia, la bottiglia di vino si debba vendere da sola.
La “dive bouteille” di Panurge non è certo l’unico packaging per il vino. Se molti sono i materiali e le forme, il tema del packaging del vino va visto da diverse angolazioni, in funzione del total packaging design dove appunto giocano un ruolo fondamentale le etichette, i sistemi di chiusura (persiste la diatriba fra tappi in sughero e in materiali plastici), le decorazioni, il packaging secondario (scatole e cassette) e ovviamente la normativa. Immaginiamo una visita a un supermercato e iniziamo prendendo in considerazione gli scaffali più in basso, in riferimento alle scale prezzo del vino. Il brick multistrato (cartoncino, plastica, alluminio) è riservato soprattutto ai primi prezzi, vini semplici che in etichetta non hanno altro da dire se non quel che la normativa impone (fra cui la presenza di solfiti che rimangono per i più un grande “busillis”) e pochi altri elementi decorativi afferenti al logo. Oggetto di massiccia pubblicità da parte del brand che, anni fa, ha lanciato il primo vino in brick, questo prodotto ha poi progressivamente perso il sostegno di comunicazione.
Nello scaffale più basso, di solito il planogramma presenta, per ragioni di spazio e di peso, i bag-in-box. Venuti alla ribalta per i vini australiani, che arrivavano in Europa in capienze da 3 e da 5 litri, il bag-in-box non ha mai riscosso grandi entusiasmi sia per la shelflife breve (da 6 a 12 mesi) sia per la necessità di bere il contenuto al massimo in 4 settimane sia infine per la difficoltà di smaltire componenti diverse (la scatola in cartone, la sacca in poliaccoppiato con effetto barriera, il rubinetto in plastica rigida). A parità di capienza la tipica bottiglia dama in vetro continua a ricevere la preferenza di famiglie multicomponente che trovano in questo contenitore panciuto e con un anello funzionale alla mescita un elemento di rassicurante tradizione e una migliore e più lunga conservazione del prodotto.
Salendo agli scaffali ad altezza occhi si possono incontrare distese di classiche bottiglie bordolesi color foglia morta da 75cl. Una uniformità interrotta solo da etichette e collarini molto elaborati a cui è affidato il compito di comunicare nome del vino e del produttore, segnalare i contrassegni di appartenenza alle denominazioni d’origine e ai consorzi di tutela, evidenziare la data e molte altre informazioni che per un consumatore non esperto, ossia quasi tutti, pone un problema di tempo per la decifrazione. Purtroppo nemmeno il prezzo è d’aiuto poiché non si riconnette a parametri noti che il consumatore possa verificare. Da qualche anno sempre più etichette aggiungono un Qr code che facilita l’accesso al sito web del produttore, creando quindi un’opportunità di approfondimento e di relazione. Un passo avanti importante, ma non risolutivo di una diffusa incompetenza.
Sulla difficoltà a scegliere il vino resta esemplare la ricerca dal titolo “Analisi del packaging nella prospettiva del processo di comunicazione”, presentata al Congresso Internazionale “Le tendenze del marketing“, tenutosi a Parigi nel gennaio 2007. Da allora la situazione della comunicazione non è sostanzialmente cambiata, per le persone resta difficile acquisire informazioni prima dell’acquisto, mentre si sta navigando in un sito di ecommerce, o si è nel supermercato. Il migliore aiuto lo si ottiene in enoteca, ricevendo consigli appropriati all’occasione di consumo (regalo, cena formale, celebrazione ecc.). Quando si è soli a scegliere, è la bottiglia stessa che svolge una funzione segnaletica. La ricerca menzionata segnalava quali elementi del packaging colpiscono maggiormente l’interesse:
-forma della bottiglia in vetro, sua dimensione, peso e colore;
– materiali (per esempio tattilità e dimensione dell’etichetta frontale e della retro etichetta, collarini e pendaglietti, capsula);
– testi (leggibilità delle informazioni, utilità dei contenuti come i suggerimenti di abbinamento con cibi, la temperatura di servizio);
– elementi iconici (loghi e cartigli, embossing del logo sul vetro, presenza di disegni, di simboli identificativi;
– elementi accessori (come per esempio una scatola in cartone, o in legno).
È certo che per scegliere una bottiglia ci vuole tempo poiché, se per le tante bordolesi che affollano gli scaffali bisogna esaminare le etichette per cogliere elementi di differenziazione, per le forme tradizionali (la bottiglia emiliana, frascati, bordolese, Verona, fiasco, alsaziana, borgognotta, reggiana, renana, champagnotta, deformata Piemonte e tante altre) il richiamo al tipo di vino contenuto è immediato, ma va comunque dedicata attenzione alla scelta del produttore. La capienza da 75 cl predomina, ma si sta facendo largo il formato single serve sia da 20/25 cl sia la demi-bouteille da 37,5 cl. Lanciate una quindicina d’anni fa per il canale horeca sulla spinta di nuovi consumatori giovani (soprattutto donne), in Asia e in mercati in cui il consumo di vino stava appena affermandosi, oggi si trovano sugli scaffali della gdo per chi opta per un consumo moderato di alcool durante il pasto.
Dal canale horeca alla gdo il passo è stato breve, persino note marche di champagne hanno introdotto il formato single serve in funzione di ricorrenze e per il consumo conviviale. Il Viaggiator Goloso è fra i brand che hanno adottato questo formato, proponendo la confezione di due bottiglie da 20 cl di Prosecco Treviso doc, prodotto da Rc di Valdobbiadene, assemblate in un pack in cartoncino color oro di Smurfit Kappa. Sempre il Viaggiator Goloso offre anche il prosecco superiore extra dry Valdobbiadene docg nel formato da 37,5 cl. Nella gdo si fanno largo gli spumanti italiani (categoria alquanto ampia e diversificata) parallelamente al grande successo riscontrato sui mercati internazionali. Sicuramente le euforiche bollicine pongono meno dubbi sulla scelta e su questioni di abbinamenti con pietanze, essendo destinate principalmente a fine cena, o in serate festaiole. D’altra parte la comunicazione per gli spumanti, poca e concentrata nel mese di dicembre, non apporta conoscenza di prodotto, ma invita solo a stappare spensieratamente.
Continuando a curiosare in un ipotetico tour in un supermercato, si incontra anche il vino in lattina. Le can in alluminio, lanciate molti anni fa sul mercato Usa, hanno faticato parecchio ad essere accettate in Italia. Si possono ancora considerare marginali, ma è interessante la sperimentazione che si sta facendo mixando vino a succhi di frutta, ad aromi e altri componenti, tanto che spesso queste lattine sono posizionate non nel reparto vini, ma sugli scaffali dedicati ad aperitivi. Comunque anche per le lattine la pubblicità è pressoché assente e la scoperta del prodotto è casuale.
La Conferenza Stato Regioni ha recentemente stanziato 25 milioni di euro per la filiera vitivinicola da dedicare a campagne di formazione e informazione volte a incrementare le esportazioni e far conoscere ai consumatori esteri i nostri vini. Il tutto passerà attraverso i consorzi di tutela delle denominazioni, indicazioni geografiche e attestazioni di specificità. Quindi al consumatore italiano chi ci pensa? I volumi e il valore delle vendite all’estero sono premianti, il vino italiano raggiungerà probabilmente nuove vette di successo anche in mercati remoti. Pazienza se il consumatore nostrano non migliorerà la propria competenza.
In questi giorni si era anche affacciata l’ipotesi di inserire in etichetta un nuovo simbolo di alert relativo alla correlazione fra consumo di alcol e cancro (oltre al monito già presente che invita a un consumo responsabile). Il Parlamento europeo ha respinto la proposta considerando che, sebbene l’alcol sia un fattore di rischio per la salute, il consumo di vino si configura già come sufficientemente moderato. Contrariamente a quel che accade per il fumo, non sarà quindi necessario porre limitazioni alla promozione del vino. L’altro aspetto che riguarda la salute emerge da una ricerca di Alcohol Health Alliance nel Regno Unito, il contenuto medio di zuccheri di due bicchieri di vino eccede la dose di 30 gr giornalieri consigliati. Controllare calorie e principi nutrizionale è sicuramente importante per contrastare l’obesità e la malnutrizione, ma viene difficile pensare a un consumatore italiano che si pone il problema di scegliere fra un cucchiaino di zucchero da mettere nell’espresso al bar e due bicchieri di vino a cena per non superare la soglia dei 30 gr. quotidiani.
Comunque, fra preoccupazioni per la salute e poca conoscenza del vino (che contiene anche sostanze benefiche) non si risolve il problema della scelta della bottiglia. Avremo consumatori ancora più perplessi nel reparto vini della gdo e l’eye tracking ci ragguaglierà sulla fatica con cui le persone esploreranno lo scaffale alla ricerca di rassicurazioni prima ancora che di informazioni. Soccomberanno all’assenza di entrambe, o si lanceranno in scelte guidate solo dal design della bottiglia, ignorando qualsivoglia segnalazione?