Alcuni concetti economici sembrano talmente ovvi da sembrare assolutamente non meritevoli di riflessione critica. Tra questi il concetto di “concorrenza” e in particolare il concetto di concorrenza tra retailer.
Per Adam Smith la competizione non era una “situazione”, ma un processo attivo, consistente nell’offrire continuamente al mercato opportunità che si ritengano migliori di quelle che qualcun altro può proporre.
Tuttavia, la concorrenza tra distributori trascende i confini che molti, troppi immaginano essenzialmente legati al prezzo dei prodotti sugli scaffali. La concorrenza, in questo caso, è multidimensionale. Cioè, la differenziazione dei processi di vendita, dei luoghi in cui essa avviene contribuiscono a sfumare il ruolo della pura concorrenza riferibile ai prezzi di prodotti industriali identici, frutto della generalizzazione consumistica a gran parte della popolazione
L’osservazione della realtà ci dice, inoltre, che possiamo aspettarci una crescente intensità della concorrenza sino alla saturazione degli spazi di conquista di una nuova clientela.
Ciò malgrado, i clienti non sono mai “nuovi clienti”. Sono sempre soggetti “strappati” ad altre insegne in base a percorsi strategici che creano per alcuni retailer incentivi a uscire dalla competizione e per altri invece ad entrarvi.
Si usa inoltre dire che tra retailer esistono (anche simultaneamente) almeno tre tipi di concorrenza:
- quella “intratype”, ovvero stessi formati, assortimenti, ambienti, ecc.;
- quella “intertype”, cioè tra formati diversi (iper, e-commerce, vicinato, ecc.) e anche assortimenti diversi, e
- una “divertive competition”, che si verifica quando un’insegna sfrutta qualche particolare occasione per servire un cliente che, diversamente, sarebbe andato ad acquistare in un altro punto di vendita maggiormente preferito.
In particolare quest’ultimo concetto spiega perché la nostra metrica basata sul Goodwill, non mostra mai una clientela che riconosce al 100% il Miglior Rapporto Qualità/Prezzo ad una determinata insegna. Tutti in nomi in gara sono in parte preferiti, in parte fungono da alternativa di servizio, in particolari occasioni.
Se tutto questo è vero esiste, però, un altro fattore importante per interpretare il punto di vista di ciascun concorrente e per intuire le sue mosse, vale a dire, la dimensione e la natura del quel suo “parco clienti”, che, implicitamente, presuppone una sua condivisione con altri concorrenti.
Da ciò nasce
Il concetto di “concorrenza asimmetrica”.
Banalmente,
A non vede B come competitor allo stesso modo in cui B classifica A.
Ne discende che le reazioni dell’uno rispetto all’altro, le contromosse e le scelte di allineamento di prezzi e assortimento possono divergere.
Se A, che è più grande di B, è impegnato in una concorrenza “intertype” con C (e mettiamo che C sia il leader di mercato) non si curerà troppo di B che agisce invece in logica “intratype”, ma è più piccolo.
Viceversa, B che compete avendo A come riferimento aggiusterà la sua tattica sulla base delle decisioni di quest’ultimo.
Un esempio che chiarisce bene questo concetto è quello dei rapporti tra Eurospin e MD. Il grafico mostra i due parchi clienti delle insegne, che coprono rispettivamente il 46% e il 26% delle famiglie italiane che si dichiarano loro clienti per avervi fatto acquisti.
Le famiglie condivise sono il 18% del totale. Ciò significa che MD vede il 70% del proprio parco insidiato da Eurospin, mentre Eurospin ne condivide solo il 39%.
Ogni mossa di Eurospin, quindi, si riflette quasi totalmente sulla clientela di MD. Eurospin, invece, è forse più impegnato ad erodere la clientela di CONAD e COOP, con cui la permeabilità è molto maggiore e l’osmosi inversa è più agevole e profittevole.
Per semplicità siamo abituati, di volta in volta, a concepire il gioco concorrenziale a due, soggiacendo al paradigma derivato dall’economica neoclassica di un “equilibrio” stabilito in base ai prezzi.
Se viceversa ci riferiamo al concetto di concorrenza asimmetrica, anche ricorrendo alla “teoria dei giochi”, dobbiamo concludere che il sistema è in perenne disequilibrio dinamico; cioè, come diceva appunto Adam Smith, si è obbligati a decidere e ad agire all’interno di un processo impersonale, “caotico” e in perenne divenire.