Non ho dati a disposizione e neppure chi mi paghi per raccoglierli, ma scommetterei che, se facessi una ricerca seria, gli italiani che affermano di conoscere il teff (compresa la componente che risponde a caso) non sarebbero più del 3%.
Eppure CONAD ha pensato di evidenziare una versione dei suoi frollini della linea PiacerSì aggiungendo ai semi di chia e di lino anche questo misterioso cereale etiopico. Ma perché?
Con tanti frollini a disposizione c’era bisogno di aggiungerne un altro? La risposta è interessante, complessa e articolata.
Le marche industriali, in barba a certi esperti nel pensiero banale, sono alla ricerca di una continua “differenziazione del prodotto” che diverrà sempre più esasperata. Questo perché lo consentono le nuove tecnologie, i nuovi accessi a materie prime con prezzi relativi decrescenti, l’informazione massificata che prepara i consumatori a soddisfare quella loro componente psicologica orientata alla “neofilia”.
I consumi alimentari, dal punto di vista nutrizionale sono saturi, e dunque il persuadimento mediatico-memetico circa le virtù obnubilate dei cereali che nutrivano poco e che i contadini italiani consumavano sognando il pane bianco, occupano la ribalta dello “spettacolo del cibo”. Pertanto, il marketing industriale si aggrappa a queste “novità” per strappare quei punticini di quota in più, un tempo disdegnati grazie alla “omologazione dei consumi” che tanto inchiostro fece spandere ai sociologi del consumo.
Un gruppo leader di mercato come CONAD, vive in altro modo queste tendenze innovative, perché
a) gode di una cultura merceologica propria accumulata e coltivata dal proprio marketing management. Una cultura che spesso è superiore a quella del marketing industriale che si focalizza su pochi prodotti.
b) ha a disposizione un immenso laboratorio in cui sperimentare gli atteggiamenti verso ll’acquisto al Nord e al Sud d’Italia e quindi l’opportunità di una innovazione
c) non ha il problema distributivo dell’industria, perché può raggiungere subito la più alta distribuzione numerica, che è il presupposto fondamentale per far conoscere adeguatamente il nuovo prodotto.
d) non ha il problema della scalabilità, perché i suoi co-packer, dato lo stato attuale della concorrenza, sono disposti a tutto pur di lavorare per un tale grande gruppo. Per inciso, ecco perché le PL hanno valenza diversa per CONAD e (con qualche sottile distinzione) per Coop, rispetto alle altre catene.
Quindi CONAD può permettersi di essere la prima ad utilizzare l’ Eragrostis tef, un cereale minore, privo di glutine che ha sfamato per secoli le popolazioni dell’Etiopia e dell’Eritrea; un cereale che le popolazioni dall’altipiano trasformano tuttora nell’Injera, un flat-bread ottenuto con una fermentazione che gli conferisce un sapore acidulo, tale da richiedere, per essere apprezzato pienamente, una decisa vocazione terzomondista.
Naturalmente, come tutte sostanze edibili, il teff (costoso perché costituito da granelli microscopici, difficili da coltivare e da raccogliere) ha delle buone proprietà nutrizionali che, tuttavia, come per tutti gli alimenti, se il consumo non si esprime in dosi consistenti e persistenti, non influenzano certo il regime dietetico dei consumatori “affluenti” del nostro paese.
Ciò nonostante, l’aggiunta di teff, ai semi di chia, e di lino, conosciuti e trascurati da secoli, aggiunge quel tocco di esotismo che solletica il “pensiero magico”che sempre alligna in ciascuno di noi. Però la cosa che conta è l’osservazione di una finezza di marketing, che dieci anni fa non ci saremmo aspettati da una marca privata. Per questo è un segnale importante.
CONAD ha anticipato Barilla, Galbusera, Bauli, Colussi, … a cui in passato si delegava, attraverso sofisticate ricerche di mercato, il compito di verificare se il pubblico era o no pronto per una certa novità.
Oggi, le regole sembrano in fase di mutamento.
Ecco cosa si cela dietro l’apparente banalità dell’ennesima referenza a scaffale.