È vero, infatti: la pizza rientra nella larga categoria dei commestibili che costano un soldo, e di cui è formata la colazione o il pranzo di moltissima parte del popolo napoletano.
Il pizzaiuolo che ha bottega, nella notte, fa un gran numero di queste schiacciate rotonde, di una pasta densa, che si brucia, ma non si cuoce, cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano: queste pizze, tagliate in tanti settori da un soldo, sono affidate a un garzone che le va a vendere in qualche angolo di strada, sovra un banchetto ambulante: e lì resta quasi tutto il giorno, con questi settori di pizza che si gelano al freddo, che s’ingialliscono al sole, mangiati dalle mosche. Vi sono anche delle fette di due centesimi, pei bimbi che vanno a scuola; quando la provvigione è finita, il pizzaiuolo la rifornisce sino a notte.
Vi sono anche, per la notte, dei garzoni che portano sulla testa un grande scudo convesso di stagno entro cui stanno queste fette di pizza, e girano pei vicoli e danno in un grido speciale, dicendo che la pizza ce l’hanno col pomidoro e con l’aglio, con la muzzarella e con le alici salate. Le povere donne, sedute sullo scalino del tasso, ne comprano e cenano, cioè pranzano, con questo soldo di pizza.
Da: Il ventre di Napoli” di Matilde Serao (1884) Edizioni Treves